giovedì 16 giugno 2011

Verità e giustizia sulla morte di CHIARA.




CHIEDIAMO VERITA’ E GIUSTIZIA SULLA MORTE DI CHIARA MANUELA D’AMBROSIO

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"Ragazza di 15 anni muore in casa: era stata dimessa dopo intervento..." (eseguito presso il CTO Maria Adelaide di Torino il 28 maggio 2010). La giovane…dimessa il 12 giugno 2010... è stata stroncata da un arresto cardio circolatorio". Torino. La Repubblica.it -

Verità e giustizia sulla morte di CHIARA.

E’ questo ciò che ancora aspetta la famiglia D’AMBROSIO, a distanza di oltre un anno dalla morte della povera Chiara Manuela.

La morte di Chiara Manuela è sopraggiunta, infatti, inaspettata e all’improvviso, lasciando attonita e incredula l’intera sua famiglia, il 21 giugno 2010, a distanza di 8 giorni dalle sue ultime dimissioni ospedaliere, dopo aver subito un intervento chirurgico di prevenzione alla testa, due ricoveri e 25 giorni di straziante e dolorosa agonia causata dalla continua perdita di liquido cefalo-rachidiano in corrispondenza della toppa di bovino sintetico che le avevano applicato durante l’intervento alla testa al CTO di Torino e in conseguenza del gravissimo quadro di deliquorazione e di ipotensione liquorale sviluppatosi immediatamente dopo l'intervento chirurgico.

Quel gravissimo disastro liquorale arrecatole al cervello e non adeguatamente trattato, l’ha condotta poi alla morte per "infarto cerebrale al bulbo del tronco encefalico".

Appena l’anno precedente Chiara era stata operata con successo all’Ospedale Mauriziano di Torino per la scoliosi e,durante gli esami preoperatori per l’intervento alla schiena, fu scoperto, in maniera del tutto incidentale, che Chiara era anche portatrice della Sindrome di Chiari 1 con Siringomielia associata.

Tali nuove patologie erano però del tutto asintomatiche e non avevano minimamente alterato le sue funzioni neurologiche. Prima di operarsi al CTO, Chiara  conduceva infatti una vita assolutamente normale: praticava sport, nuoto, ballo, usciva con le amiche, andava a scuola e svolgeva senza alcuna difficoltà qualunque attività tipica di un adolescente della sua età.

Anche dopo l’intervento alla schiena, effettuato al "Mauriziano" con successo il 28 maggio 2009, e per tutto l'anno successivo, Chiara, continuamente monitorata  da neurologhi, neurochirurghi, neuroradiologhi, ortopedici e specialisti vari, non mostrò mai alcun segno di alterazione delle sue funzioni neurologiche o pericolo di vita da richiedere un intervento di decompressione osseo-occipitale.

Non c’era nessuna necessità ed urgenza di operarla quindi anche alla testasarebbe bastato continuare a monitorare la sua malformazione congenita e intervenire chirurgicamente solo quando necessario.

Sicuramente Chiara sarebbe vissuta tantissimi altri anni ancora, avrebbe potuto sposarsi, avere dei figli e avrebbe potuto raggiungere la terza età senza alcun problema, convivendo con la sua malformazione congenita che, fino al giorno prima dell'intervento alla testa, si era sempre mantenuta del tutto asintomatica e "innocua" tanto che, in 15 anni della sua breve e sfortunata esistenza, non le aveva dato mai alcun problema neurologico e non aveva mai alterato le sue funzioni vitali!


Prima di essere operata alla testa, Chiara conduceva una vita assolutamente normale: non era affatto "in pericolo di vita" e non aveva alcun problema neurologico. 

Ma nonostante ciò, i sanitari ritennero per lei indicato il trattamento chirurgico.

Perchè?

Chiara fu operata alla testa  il 28 maggio 2010, a distanza di un anno esatto dall’intervento alla schiena per la scoliosi.

Il trattamento chirurgico concordato con i sanitari e per il quale era stato richiesto e prestato il consenso, doveva essere "di pura e semplice prevenzione", un intervento di routine che non avrebbe dovuto assolutamente intaccare la massa cerebrale: l'operazione doveva interessare, infatti, la sola parte ossea della testa, ossia il cranio,  la squama occipitale e concludersi con l'asportazione di una piccola porzione della parte posteriore della prima vertebra, C1, della colonna vertebrale, al fine di "fare spazio al cervelletto nella scatola cranica" e prevenire così eventuali problemi futuri al sistema nervoso.

Durante l'intervento, però, i medici che la operarono non solo “incisero” la dura madre ma “lacerarono” anche l'aracnoide, bucandola e provocando la conseguente perdita di liquido cefalo-rachidiano.
Il liquido cefalo-rachidiano è  una preziosa componente del cervello e del sistema nervoso centrale e scorre proprio sotto l'aracnoide. Esso avvolge tutto il midollo spinale e l'encefalo, svolgendo importantissime funzioni nutritizie e di protezione: il nostro cervello infatti galleggia nel liquido cefalo-rachidiano dal quale viene  nutrito e protetto dagli urti. Da quì l'importanza vitale di tale liquor contenuto nella nostra scatola cranica.

Per riparare l'insulto cerebrale arrecato e impedire ulteriore perdita di liquor, i sanitari misero al cervello della povera ragazza un corpo estraneo, assolutamente non previsto nel programma chirurgico concordato, e costituito da  una “pezza” di bovino sintetico, il cosiddetto TUTOPATCH, che le fu però applicato con la sola colla (il  TISSUCOL) e senza neanche un punto di sutura.

La "toppa" così applicata però non tenne e la bambina continuò a perdere liquido cefalo rachidiano.

Dopo soli 3 giorni, e nonostante Chiara avesse riferito, sin dalle prime ore successive all'intervento chirurgico, malessere generale, cefalea pulsante e disturbi dell’equilibrio - tutti sintomi, questi, mai avuti prima, e che avrebbero dovuto allarmare quindi i sanitari - seguirono tuttavia, il 1 giugno 2010, le sue dimissioni presso il domicilio, senza nemmeno eseguirle una TAC o Risonanza Magnetica Nucleare al rachide cervicale e all'encefalo, che pur si rendevano doverose e necessarie prima delle dimissioni ospedaliere, e senza prescrizione di alcuna terapia farmacologica/antibiotica.

Nella notte tra il 1° giugno e il 2 giugno 2010 Chiara ha continuato a star male lamentando dolorosissime  fitte alla testa e forti capogiri, ha vomitato due volte e, verso le 5:30 del 3 giugno 2010, dopo l'ennesimo capogiro, è caduta a faccia in giù sul pavimento.

A seguito di altri episodi di vomito e perdita di equilibrio, nella mattinata del 3 giugno 2010, Chiara fu nuovamente ricoverata d’urgenza presso il Pronto Soccorso del CTO Maria Adelaide di Torino, dove fu sottoposta a TAC del rachide cervicale e dell'encefalo le quali evidenziarono che la bambina stava perdendo liquido cefalo-rachidiano dalla pezza di bovino e aveva perciò sviluppato una raccolta liquorale e delle falde ipodense al cervello.
Chiara fu quindi ricoverata in osservazione nel reparto di Neurochirurgia della stessa struttura ospedaliera di Torino, dove avrebbe dovuto ricevere tutte le cure necessarie per bloccare la perdita di liquido cefalo-rachidiano in atto, sintomatica del fatto che la pezza di bovino applicata sull'aracnoide lacerata non aveva "tenuto" e stava ormai creando problemi seri all'encefalo e alla dinamica liquorale.
Le TAC successive, effettuate nei giorni 4 e 10 giugno 2010 segnalarono un peggioramento della situazione  cerebrale e un grave quadro di ipotensione liquorale.

In particolare: la Tac al rachide cervicale del 3 giugno 2010, eseguita in Pronto Soccorso, aveva evidenziato la presenza di una raccolta liquorale proprio al di sotto della toppa di bovino sintentico; la Tac all'encefalo dello stesso 3 giugno 2010, aveva segnalato la presenza di falde ipodense tra cui una addirittura di 10 millimetri; la Tac all'encefalo del 4 giugno 2010 aveva evidenziato un aggravamento della situazione delineatasi il giorno prima e, in particolare, che le falde ipodense sub-durali al cervello, invece di diminuire, erano addirittura aumentate e che si era anche sviluppato un grave quadro di ipotensione liquorale; infine, la TAC all'encefalo del 10 giugno 2010 era risultata pressocchè sovrapponibile a quella del 4; non c'era stato quindi nessun miglioramento poichè le falde ipodense non erano rientrate, o meglio, solo un paio di esse si erano riassorbite, ma nello stesso tempo se ne erano formate delle altre, in altre zone critiche del cervello.

E la raccolta liquorale formatasi sotto la pezza di bovino applicata in corrispondenza dell'aracnoide lacerata, evidenziata dalla TAC del 3 giugno 2010 al rachide cervicale (nell'area dell'intervento chirurgico)?

E' davvero suggestivo che, dopo il 3 giugno 2010 nessun controllo fu mai più effettuato dai sanitari al rachide cervicale, ossia sull'area interessata dall'intervento chirurgico, come se la raccolta liquorale evidenziata dalla Tac eseguita in Pronto Soccorso il 3 giugno 2010 fosse un'evenienza "di poco conto", "un dettaglio clinico irrilevante, trascurabile e assolutamente privo di conseguenze per la paziente".

Nonostante il gravissimo quadro clinico di deliquorazione e  di ipotensione liquorale emerso dai suddetti esami strumentali, in data 12 giugno 2010, non solo i genitori non furono mai informati di quanto stava accadendo nella piccola Chiara in quanto...


i Sanitari omisero di diagnosticare il processo di deliquorazione e di ipotensione liquorale in atto nella bambina; ma la paziente veniva anche nuovamente dimessa certificando, nella lettera di dimissione, di aver addirittura constatato  in lei “ proprio un netto miglioramento” e che, pertanto, Chiara “non necessitava più di alcuna terapia specifica dal punto di vista medico” (testuali parole riportate nella lettera di dimissioni).

La mandarono quindi a casa con prescrizione di sola “tachipirina al bisogno, esercizi posturali come spiegato alla madre, controllo clinico dopo sette giorni e RMN fra 4 mesi e successiva rivalutazione neurochirurgica” (!).

Chiara stava invece morendo...


La sua vita si è infatti tragicamente spenta il 21 giugno 2010, dopo neanche 8 giorni dalle sue ultime dimissioni del 12 giugno 2010, per infarto cerebrale a carico del bulbo del tronco encefalico: un esito dovuto alla perdita continua di liquor, assolutamente prevedibile ed evitabile per chi è esperto in campo medico; del tutto imprevedibile e inatteso, invece, per la sua famiglia.

Il liquido cefalo-rachidiano, detto anche cerebro-spinale o semplicemente "liquor" è, infatti, una componente indispensabile al sistema nervoso centrale: la sua quantità deve mantenersi in un rapporto ben preciso e costante con il cervello, la scatola cranica e l'intero sistema nervoso centrale, di cui esso fa appunto parte.
In parole povere il liquido cerebro-spinale non deve mai aumentare, altrimenti si avrebbe l'idrocefalo; esso però non deve neanche diminuire, altrimenti si ha lo pseudo-meningocele: il cervello, cioè, si riduce di consistenza; quindi si affloscia e prolassa nella scatola cranica...con conseguenze letali, quali quelle subite dalla povera Chiara. 

I medici della struttura ospedaliera dove era stata operata, a fronte della morte, dissero che il "Decorso operatorio era stato regolare".

Ma il 25 giugno 2010 fu disposta dalla Procura della Repubblica di Torino una RMN sul corpo ormai cadavere della ragazza che segnalò la presenza di una consistente fistola liquorale, del diametro di 32mm x 14mm, proprio posteriormente al ridosso della pezza di bovino applicatale durante l’intervento, con evidente presenza di pseudo-meningocele, indicativa dell’ipotensione liquorale non adeguatamente trattata in sede ospedaliera e della continua perdita di liquido cefalo rachidiano sofferta dalla povera ragazza e mai arginata dai sanitari durante i suoi due ricoveri.

Il ridetto esame strumentale evidenziò inoltre che, proprio a causa della deliquorazione continua sofferta, il cervello di Chiara "aveva ceduto", prolassando insieme alle sue tonsille cerebellari, le quali erano scese, pertanto, in basso, andando ad impegnare la fossa occipitale, attraverso il forame magnum, con conseguente sofferenza del tronco encefalico e successivo infarto cerebrale a carico del bulbo del tronco encefalico, organo cerebrale che regola la funzione arteriosa, respiratoria e viscerale.

L’autopsia ha stabilito che la morte di Chiara è avvenuta per infarto cerebrale a carico del bulbo del tronco encefalico ma, escludendo del tutto dalla propria valutazione medico-legale una cospicua parte della documentazione medica rilevante, tra cui le Tac del 3, 4 e 10 giugno 2010 e i risultati della RMN eseguita il 25 giugno 2010 sul corpo ormai cadavere della povera ragazza, un importantissimo atto investigativo appositamente disposto dalla Procura della Repubblica di Torino prima che venisse effettuata l'autopsia, il Consulente autoptico ha completamente omesso di rilevare la deliquorazione sofferta, l'ipotensione liquorale e la presenza della grossissima fistola liquorale evidenziata dai suddetti esami strumentali proprio in corrispondenza dell'area trattata chirurgicamente dai Sanitari del CTO, dichiarando di "non essere in grado di stabilire la causa dell’infarto cerebrale"; e così ha definito la morte di Chiara un “evento casuale o "comunque ricollegabile alla Sindrome di Chiari 1" (cioè alla patologia congenita della quale la bambina era portatrice) quasi che si fosse trattato di un evento caduto dal cielo (!); mentre, invece la causa della morte di Chiara era scritta in maniera talmente eclatante e palese proprio in quegli atti e documenti medico-sanitari completamente trascurati dal Consulente autoptico, da essere stata immediatamente riconosciuta e individuata dai consulenti della Parte Offesa, i quali sono pervenuti a conclusioni diametralmente opposte a quelle dell'autopsia, partendo semplicemente dalla obiettività clinica evidenziata proprio da quella cospicua parte di documentazione medica stranamente esclusa dalla valutazione e dalle conclusioni della relazione autoptica.


QUESTE SONO STATE INFATTI LE VALUTAZIONI e CONCLUSIONI DEI MEDICI LEGALI DELLA FAMIGLIA D’AMBROSIO:

Prima di procedere ad una valutazione strettamente medico legale della vicenda è opportuno richiamare alcuni concetti di ordine generale circa la patologia che caratterizzava la piccola D’Ambrosio Chiara: la Sindrome di Arnold Chiari 1.


Tale patologia può essere definita come una sindrome malformativa della fossa cranica posteriore in cui cervelletto e tronco sono normalmente contenuti. Essa è caratterizzata da uno squilibrio tra le strutture nervose a livello del passaggio cranio-spinale e una dimensione ridotta del contenitore osseo (fossa cranica posteriore), accade infatti che a causa di un’insufficiente sviluppo della fossa cranica posteriore, ci sia una conseguente spinta del cervelletto verso il basso, attraverso il forame magno. Pertanto il cervelletto ed il tronco encefalico sono dislocati attraverso una piccola apertura, chiamata forame magno, nel canale spinale. La malformazione di Chiari può essere associata a molte altre patologie, inclusi il mielomeningocele, la siringomielia, come nel nostro caso, la spina bifida e l’idrocefalo.


Se ne distinguono due tipi principali, con diversa eziologia, età di presentazione e gravità: il tipo I ed il tipo II.


Il tipo I, come si evince dalla documentazione sanitaria, è la patologia da cui era affetta la D’Ambrosio.


Il tipo I solitamente si rende manifesta nel giovane adulto. Morfologicamente è caratterizzata dalla dislocazione delle tonsille cerebellari nella parte superiore del canale cervicale. Nel 50-80% dei casi è associata a siringomielia e in un quarto dei casi anomalie ossee della base cranica.


Come avvenuto per la piccola Chiara, la malformazione di Chiari di tipo I può essere asintomatica e venire riscontrata occasionalmente nel corso di indagini neuroradiologiche effettuate per altri motivi.


Infatti, così come si evince dalla relazione clinica del 27.05.2010, redatta al momento del ricovero presso la U.O. di Neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliera CTO/Maria Adelaide di Torino, la D’Ambrosio affetta da scoliosi, prima di essere sottoposta ad intervento chirurgico ortopedico per la correzione di questa patologia, si sottopose ad indagini neuroradiologiche che evidenziarono, quale riscontro incidentale, la presenza di cavità sirigomielica, nonché ad esame RM encefalo del 19.01.2010 che evidenziò la presenza di malformazione di Chiari tipo I con siringomielia.


Sempre nella relazione clinica del 27.05.2010, redatta al momento del ricovero si segnalò: “l’obiettività neurologica è nella norma”.


Non vi è dubbio, quindi, nell’ammettere che la patologia malformativa di Chiari di tipo I era assolutamente asintomatica.


Soffermandoci su questo aspetto appare del tutto inappropriato sottoporre ad intervento chirurgico una Pz. affetta da malformazione di Chiari I e siringomielia senza che questa avesse dei sintomi neurologici suggestivi.


Il trattamento di decompressione ossea suboccipitale andrebbe, infatti, consigliato nei casi sintomatici, al fine di aumentare il volume della fossa cranica posteriore e di consentire una decompressione delle strutture encefaliche ivi contenute ed il ripristino di una normale circolazione del liquor.


I pazienti asintomatici, come la D’Ambrosio, meriterebbero invece uno stretto controllo clinico e neuroradiologico, per programmare, se necessario, quando cioè sorgesse una sintomatologia neurologica, una tempestiva risoluzione chirurgica.


Sono da considerare candidati all’intervento chirurgico quei pazienti affetti da un corredo sintomatologico caratterizzato da cefalea persistente, disturbi dell'equilibrio, difficoltà nella deambulazione, paraparesi ingravescente, ecc...


Tra l’altro non è ipotizzabile che i Colleghi neurochirurghi dell’Azienda Ospedaliera CTO/Maria Adelaide di Torino avessero ravvisato la possibilità o il rischio di un peggioramento improvviso, in quanto essendo questa patologia malformativa nota antecedentemente all’intervento chirurgico per la scoliosi, davanti ad un rischio legato alla patologia neurochirurgica avrebbero dovuto dare priorità a questa.


Quindi secondo il nostro parere è evidente che ci sia stato un comportamento troppo “interventistico” e quindi rischioso per la povera Chiara Manuela.


Riferendoci anche alla Letteratura scientifica, oggi il trattamento chirurgico della malformazione di Chiari tipo I non è di tipo standardizzato ma appare univocamente percepito che il fine ultimo dell’intervento chirurgico debba essere la decompressione della giunzione occipito-cervicale al fine di evitare la diretta compressione dell’osso sulla giunzione cranio-cervicale.


E’ però necessario, questo sotto l’aspetto puramente giuridico e deontologico, prima d’intraprendere un iter chirurgico, informare dettagliatamente il Paziente e/o i Parenti (la D’Ambrosio era minorenne) sui possibili benefici del trattamento, sulle modalità dell'intervento, sull’eventuale possibilità di scelta tra cure diverse o fra diverse tecniche operatorie, nonché dei rischi prevedibili di complicanze postoperatorie.


Su questo aspetto, avendo come riferimento la cartella clinica del ricovero del 27 maggio 2010, sono ben evidenti molte omissioni e contraddizioni.


Innanzitutto esistono due diversi consensi informati della stessa data (27.05.2010), uno firmato dalla madre della D’Ambrosio e l’altro non recante alcuna firma, in cui vengono nel dettaglio elencate le possibili complicanze dell’intervento chirurgico, mentre vengono prese in considerazionii diverse tecniche operatorie!


Riferendoci al consenso informato firmato, come opzione chirurgica viene scelta la “decompressione ossea occipito cervicale laminectomia C1”, mentre leggendo la descrizione dell’intervento chirurgico si evince una diversa e più invasiva modalità del trattamento eseguito il 28.05.2010. Infatti nella descrizione dell'intervento chirurgico del 28.05.2010 oltre alla prevista “...rimozione dell'arco posteriore di C1 e della porzione inferiore della squama dell'occipitale...” vi è stata la non preventivata, stante il consenso informato firmato, incisione della dura madre (“la dura madre viene quindi incisa per una lunghezza di circa tre centimetri...”).


Pertanto, alla luce di quello che fu l'atto operatorio, così come descritto in cartella clinica, la tecnica chirurgica attuata fu diversa e più invasiva rispetto a quella prospetta al momento della somministrazione del consenso informato firmato dalla madre della D'Ambrosio.


Non è solo questo, però, il dato difforme rispetto a quanto richiesto con il consenso informato, infatti dalla stessa descrizione dell'intervento chirurgico si riscontra che “...si lacera l'aracnoide con fuoriuscita di liquor...”. Appare evidente, quindi, che a causa di una manovra chirurgica inappropriata ed incauta si è causata la lacerazione dell'aracnoide e la fuoriuscita di liquor.


Sta di fatto che la lacerazione della aracnoide, come evento casuale determinato da una incauta manovra chirurgica, non si sarebbe verificato nel caso in cui i Colleghi neurochirurghi operatori, attenendosi al consenso informato firmato, non avessero deciso l'apertura della dura madre.




L’apertura quindi della dura madre con lacerazione dell’aracnoide comportò una concatenazione di eventi successivi, che come vedremo successivamente, non furono adeguatamente diagnosticati e allo stesso tempo trattati dai Sanitari curanti della D'Ambrosio ed esitarono nell'exitus della stessa.


Tutte queste problematiche, insorte dall’atto operatorio in poi, dovevano essere spiegate dettagliatamente alla paziente ed ai parenti nel post-operatorio, oltre a determinare una condotta clinica diversa rispetto a quella attuata.


Infatti nei pochi giorni in cui la pz. è stata ricoverata dopo il trattamento chirurgico, persistendo la cefalea ed il malessere generalizzato, la D’Ambrosio fu solo trattata con farmaci antidepressivi ed ansiolitici, mentre appare davvero superficiale non averla sottoposta ad indagini neuroradiologiche (Tac o RMN).


In data 01.06.2010 (a soli quattro giorni dall’intervento chirurgico), nonostante la D'Ambrosio riferisse malessere generale, cefalea e disturbi dell'equilibrio, tutti sintomi che avrebbero dovuto allarmare i sanitari, seguirono dimissioni presso il domicilio.


Eppure, nella cartella infermieristica del 28.05.2010 viene espresso questo concetto: “durante l'incisione della dura viene lacerata l'aracnoide con fuoriuscita di liquor. Possibile cefalea da sottrazione liquorale”, appare quindi del tutto evidente ed ingiustificabile come la condotta post-operatoria fu del tutto superficiale ed imprudente nonostante l'evento “deliquorazione”, già preventivato, nel concreto si realizzò e fu del tutto ignorato.


Diamo un breve chiarimento circa i volumi di liquor presenti nel soggetto sano.


Il liquor è un fluido corporeo che si trova nello spazio subaracnoideo, prodotto dai plessi corioidei in misura di circa 500 ml die, con ricambio tre volte al giorno. Il liquor permea la corteccia cerebrale ed il midollo spinale ed occupa spazi all'interno del SNC quali le cisterne, i ventricoli cerebrali ed il canale midollare.


Il liquor è presente nel nostro organismo in misura di circa 150-200 ml, metà è presente nella cavità cranica, con una pressione di circa 15 mmHg.


Ebbene, la deliquorazione avvenuta a causa dell'accidentale lacerazione dell'aracnoide, già ritenuta dai Sanitari come causa di cefalea, andava monitorata in maniera a nostro avviso differente.


La deliquorazione infatti riconosce nella cefalea pulsante il sintomo principale, che nel nostro caso si manifestò sin da subito; tale quadro è esacerbato dai movimenti della testa, dall’assunzione della posizione eretta e si riduce in posizione sdraiata.


Ma la povera Chiara Manuela fu subito mobilizzata nonostante presentasse disturbi dell'equilibrio (vedasi visita fisiatrica del 31.05.2010), con inevitabile peggioramento delle sue condizioni cliniche.


D’altronde fu dimessa dopo soli quattro giorni!


La precoce mobilizzazione posturale della D'Ambrosio comportò quindi un progressivo peggioramento della deliquorazione e quindi dei sintomi associati.


Tornando alla storia clinica, dopo la dimissione a casa, avvenuta, ribadiamo dopo soli quattro giorni dall'intervento chirurgico, la piccola continuava a stare male, presentava gli stessi disturbi avuti in Ospedale; ma i genitori erano però stati rassicurati dai medici i quali asserirono che la situazione era normale.


La mattina del 03.06.2010, a soli due giorni dalla precoce dimissione, a seguito di “caduta al suolo con impatto frontale secondaria a vertigini … e cefalea” (vedasi reperto del P.S. del CTO/Maria Adelaide di Torino), la D'Ambrosio fu dapprima sottoposta ad esame Tac cranio-cervicale (C0-C4) che evidenziò, quale segno ex novo, la presenza di “sottile falda ipodensa in sede emisferica sinistra che impronta e deforma le circonvoluzioni circostanti e di una ulteriore sottile falda lungo il tentorio a destra...” e la presenza di “raccolta liquorale...” in sede cervicale, e quindi ricoverata presso la U.O. di Neurochirurgia che già la ebbe in cura.


La comparsa di falde igromatose sottodurali sono descritte in Letteratura come conseguenza di una deliquorazione cranica per meccanismo “ex vacuo”.


Pertanto è palese come la deliquorazione già preventivata era manifesta clinicamente ed ancor di più confermata con esame strumentale.


Eppure nonostante l'evidenza clinica (oltre la previsione di deliquorazione in presenza di cefalea), la condotta dei Sanitari fu ancora superficiale ed omissiva.


In primis davanti ad un sospetto clinico, ormai manifesto, si sarebbe dovuto procedere ad un esame neuroradiologico più approfondito rispetto alla Tac: la Risonanza Magnetica.


L'esame RMN, che nel caso in questione fu eseguito, purtroppo in ritardo, solo sul cadavere, avrebbe mostrato delle immagini più complete su tre piani (assiale, coronale e sagittale) e avrebbe potuto evidenziare segni di sofferenza cerebrale, cerebellare, midollare o del tronco encefalico, secondarie allo squilibrio liquorale che si era determinato.


L'aver eseguito un esame RMN su di un cadavere è la prova provata che l'esame fornisce una serie di elementi più specifici rispetto a quanto possibile con un esame Tac.



Riferendoci alla RM encefalo eseguita sul cadavere in data 25.06.2010 si nota la presenza di una quota consistente di liquor (14x32 mm di diametro) proprio posteriormente al ridosso del patch durale, con presenza di uno pseudomeningocele.


Secondo il nostro parere quindi, nel determinismo dell’evento morte riveste esclusiva importanza la presenza di una fistola liquorale nella zona di apertura della dura.


Sempre riferendoci alla descrizione dell'intervento chirurgico del 28.05.2010, dopo le altre manovre, già trattate in precedenza, al momento della chiusura della dura madre i Colleghi operatori hanno posizionato un “... patch di pericardio bovino (TUTOPATCH) su cui si dispone del Tissucol”.


A tal proposito è opportuno ricordare che la plastica durale, operazione molto frequente in neurochirurgia, ha dei presupposti cardine. Il primo tra questi è che la chiusura deve essere a tenuta, quindi non ci dovrebbe essere una fistolizzazione del liquor al di fuori della dura madre, in quanto questa evenienza potrebbe determinare problematiche gravi quali la meningite e appunto la deliquorazione.


Nel caso di specie, dalla descrizione dell'intervento chirurgico si evidenzia che ci fu soltanto una colata di Tissucol sul patch durale senza porre dei punti di sutura staccati in seta. Questa ulteriore opzione, assieme al posizionamento del Tissucol, avrebbe impegnato sicuramente di più l'operatore, ma allo stesso tempo avrebbe garantito una miglior tenuta della plastica.


Non vi è dubbio quindi nell’ammettere che la fistola liquorale si determinò per non tenuta della plastica durale.


Nel corso del secondo ricovero (del 3.6.2010), proprio per trattare l'ipotensione liquorale, determinata dalla fistola, la piccola D’Ambrosio fu trattata con imponente terapia idratante (addirittura sino a 3000 ml liquidi tramite infusione), senza che venisse ritenuto efficace un trattamento definitivo per arrestare la perdita di liquor. In tal senso la terapia idratante messa in atto riuscì solo a mitigare sul piano sintomatologico il quadro clinico, ma nulla potè svolgere sulla causa della deliquorazione che invece prevedeva altri trattamenti.


Esistono, infatti, varie tecniche e possibilità per trattare una fistola liquorale; di solito, prima di decidere di intraprendere un altro intervento chirurgico di plastica durale, si tenta il posizionamento di una derivazione lombare continua, atta a diminuire la pressione liquorale, che può determinare una riparazione “autonoma” della fistola stessa; in caso di insuccesso di questa opzione è indispensabile un nuovo intervento chirurgico funzionale alla riparazione della fistola con ulteriore plastica durale.


Solo così si riuscirà ad interrompere definitivamente la deliquorazione e le conseguenze strettamente connesse alla progressiva perdita di liquor.


Oltre a non aver effettuato esami strumentali atti a confermare la fistola liquorale (tramite esame RM), appare quindi suggestivo il fatto che non si sia provveduto a trattare la deliquorazione determinata dalla plastica durale inefficace perchè non a tenuta .


In tal senso una tempestiva ed appropriata diagnosi di deliquorazione, anche in considerazione del fatto che la stessa deliquorazione fu preventivata dagli stessi sanitari il giorno seguente il trattamento chirurgico e poi nel concreto si manifestò, seguita da adeguato e corretto trattamento chirurgico, avrebbe evitato l'evento morte.


Pertanto è possibile asserire che la causa del decesso, avvenuto in data 21.06.2010 a soli ventiquattro giorni dall'intervento chirurgico, nonché a soli otto-nove giorni dalla seconda dimissione dal reparto di Neurochirurgia, sia ascrivibile ad un danno ischemico del tronco encefalico secondario al progressivo squilibrio della dinamica liquorale, nonchè alla presenza di un pseudomeningocele post-chirurgico (ben visibile dalla RM encefalo post-mortem), anche questo conseguenza della inefficace plastica durale.


In conclusione, nella condotta dei sanitari che ebbero in cura la povera D'Ambrosio Chiara Manuela, presso il CTO/Maria Adelaide di Torino, si ravvisano profili di responsabilità medica che possono essere ascritti a tre momenti fondamentali di tutta la storia clinica:


1- Per quanto concerne la fase preoperatoria la proposta di trattare la patologia malformativa di Chiari I non era supportata da un corredo sintomatologico, essendo la paziente asintomatica per tale patologia che fu diagnosticata in via del tutto incidentale.


2 - Relativamente al periodo operatorio emerge una chiara incongruenza tra la tecnica chirurgica prospettata nel consenso informato firmato e quella nel concreto attuata, in virtù del fatto che durante l'atto operatorio fu aperta la dura madre e quale conseguenza di una manovra incauta fu “lacerata” l'aracnoide.


3 - L'interessamento delle meningi comportò, già nell'immediato post-operatorio, la comparsa di sintomi e segni clinici, e successivamente radiologici, suggestivi per una deliquorazione in atto completamente trascurata e disattesa nonostante gli stessi Sanitari l'avessero addirittura preventivata.




Venendo ora alla valutazione della CTU si precisa sin da subito che la stessa è da un lato lacunosa e non ha tenuto conto di tutta la documentazione sanitaria che ha comunque interessato la storia clinica della piccola Chiara e dall’altro ha anche disatteso quanto richiesto negli stessi quesiti.


In particolare, ci riferiamo all’esame TAC che fu eseguito sulla D’Ambrosio il 4.6.2010 di cui non vi è traccia nella documentazione in atti né tantomeno il CTU si è preoccupato di acquisirne una copia.


Solo in data 21 febbraio 2011, infatti, a seguito di richiesta formale dell’Avv. Fiorella PAGLIARA (del 07.02.2011 al CTO Maria Adelaide di Torino), si è venuti in possesso del dischetto informatico e del referto TAC del 4 giugno 2010.


Tale esame strumentale ha evidenziato un quadro di ipotensione liquorale completamente disatteso nelle valutazioni della CTU.


Ma ancor di più, la stessa CTU non ha fatto mai menzione, nella fase valutativa medico legale, agli esiti dell’esame RM, eseguito sul corpo oramai cadavere della piccola Chiara, nonostante, tuttavia, vi era esplicita richiesta negli stessi quesiti.


Eppure il CTU avrebbe dovuto rispondere proprio con particolare riferimento al predetto esame!


E’ proprio l’attenta analisi dei radiogrammi relativi all’esame RM eseguito sul cadavere, come anzidetto, consente di evidenziare, nel caso di specie, tutta una serie di elementi esaustivi per una completa ricostruzione dell’etiopatogenesi dell’evento morte.


Il CTU, invece ha completamente ignorato tale aspetto tanto da concludere per un mancato riconoscimento della causa che ha determinato il danno a carico del tronco cerebrale.


In altri termini il CTU non è stato in grado di fornire una spiegazione causologica del danno ischemico a carico del tronco cerebrale responsabile del decesso.


In ragione di tutti gli aspetti considerati non si conviene neppure con le conclusioni della stessa CTU che innanzitutto non ha escluso completamente la ricorrenza di un rapporto di causa effetto tra il decesso e i trattamenti sanitari bensì si è genericamente soffermata sulla non “possibilità” di definire con elevato grado di sicurezza lo stesso rapporto, ma ancor di più ha ricondotto l’evento morte alla evoluzione “casuale”, quasi come se fosse un evento caduto dal cielo!, e connesso alla stessa patologia di Arnold Chiari 1 che, sino a prova contraria, a tutto poteva far pensare, prima degli eventi occorsi dopo il 27.5.2010, tranne alla morte che sopraggiunse in stretto rapporto cronologico con l’intervento chirurgico del 28.5.2010.


In conclusione, si ritiene con elevato grado di certezza che la causa della morte della piccola Chiara Manuela D’Ambrosio sia ascrivibile alla condotta omissiva dei sanitari del CTO di Torino sia per quanto concerne la mancata attuazione di tutta una serie di indagini diagnostiche che avrebbero confermato, in fase post-operatoria, la ricorrenza di ipotensione liquorale, già palesemente manifesta clinicamente, sia per quanto concerne la mancata attuazione di interventi atti ad arginare lo stato di deliquorazione in atto conseguente alla non tenuta della plastica durale confezionata durante l’intervento chirurgico del 28.5.2010 che fu nel concreto realizzato con modalità interventistiche ben più invasive e comunque differenti rispetto a quelle prospettate al momento della somministrazione del consenso informato."
Dr. XX NEUROCHIRURGO                                                               Dr. XX MEDICO LEGALE












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